REGRESSO DELLE NASCITE: L’ITALIA SENZA ITALIANI

Secondo uno studio redatto lo scorso dicembre da Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia e statistica sociale presso l’Università Cattolica di Milano, la popolazione mondiale supererà nei prossimi trent’anni i 10 miliardi di individui, mentre in Europa saremo 40 milioni in meno, rispetto i 448 milioni e mezzo di oggi.
L’Italia offre suo malgrado il proprio avverso contributo, dato che degli oltre 60 milioni di cittadini nel 2019 arriveremo statisticamente, qualora proseguissimo imperterriti verso questa rotta a 40 milioni nel 2100, dato il saldo negativo di nascite rispetto ai decessi che prosegue sempre più drammaticamente dal 2014 e che ammonta secondo l’ISTAT a 179 mila unità in meno nel 2022, rispetto l’anno precedente.
Promuovendo da sempre la difesa della nostra cultura e della nostra identità specifica di italiani, va da sé che la difesa e l’affermazione di ciò che ci è più prossimo non può logicamente prescindere dalla continuazione della specie che viene garantita dalla riproduzione; che mai quanto oggi è a repentaglio e che viene garantita dalla famiglia: il nucleo riproduttivo che ha il compito di generare ed educare i nuovi cittadini.
La famiglia naturale, garante della vita e pietra angolare di ogni società, vituperata sempre più dalle derive ideologiche di quell’occidentalismo imperante che attraverso le infezioni culturali propinateci dal ’68 in avanti, oggi sbiadisce, divenendo sempre meno definita. Crolla così il numero di famiglie italiane, così come crolla il numero di componenti per famiglia, stanziandosi a 2,3: ossia al di sotto del nucleo riproduttivo minimo.

L’inversione di rotta circa il decremento demografico in atto, riteniamo debba essere una delle emergenze più impellenti, nonché una sfida vitale che la nostra epoca ci pone dinanzi e deve quindi essere posta in cima alle agende politiche di coloro che hanno realmente a cuore l’interesse nazionale e dei cittadini italiani di oggi, ma soprattutto quelli di domani.

Questa questione realmente esistenziale non può essere demandata con la compensazione degli immigrati extra europei; laddove i fautori e i sostenitori della società aperta impiegano questo fenomeno come grimaldello per rimpiazzare la cittadinanza autoctona attraverso la sostituzione etnica di popolo. La cittadinanza deve essere espressione del radicamento di un popolo in un territorio e non uno strumento disincarnato in balìa degli indicatori di mercato, perché al di là dei benefici in termini di welfare, il cui bilancio positivo a fronte degli esborsi dalle casse dello Stato resta tutto da dimostrare, andrebbe inesorabilmente ad alterarne le stratificazioni di genti stanziate in Italia da tempi immemori, minandone forse irrimediabilmente identità e cultura.

È inutile allarmarsi sul calo demografico quando non si comprende e agisce alla radice del problema, ovvero rimettere al centro la famiglia vera, cellula fondante di ogni civiltà e società. Dice giusto il presidente dell’ISTAT: le grandi nazioni sono quelle popolose. E difatti è quello che è stata l’Italia e la nostra civiltà per quasi due millenni. Dice altrettanto giustamente che bisogna attuare politiche economiche per favorire le giovani coppie, a partire dall’offerta di un lavoro stabile.

Ma se non si capisce che il concetto stesso di famiglia è sotto attacco da tutte quelle ideologie e temi progressisti (gender e aborto su tutti) non si risolverà nulla.

È l’eterna lotta tra diritti individuali a discapito della società e della Prudenza Politica, virtù universale e realismo politico che ci ha reso grandi.

Dato storico: ogni civiltà nella storia che avesse un tasso demografico inferiore a 1.9 in termini di figli è scomparsa. Noi siamo a 1.1.

Rispetto al 2008 ci sono 183 mila nascite in meno, e l’anno scorso si è toccato il minimo storico con 393 mila nascite in Italia (311 mila di queste nascite riguardano bambini italiani).

Le donne italiane fanno 1.18 figli, a fronte di 1.44 nel 2010. Le straniere si attestano a 1.9 figli, per un totale di 1.24 figli per donna.

L’età media della donna circa la nascita del primo figlio è di 31.6 al meridione, si supera abbondantemente i 32 al centro – nord.

Il 41,5% dei bambini è nato fuori dal matrimonio: è statisticamente provato che il bambino nato all’interno di una coppia solida e coniugata, cresca facilmente in un ambiente stabile, avendo anche come prospettiva l’avere fratelli e sorelle.

Tutto questo, cosa vuol dire?

Che gli aiuti alla famiglia messi in campo dal Governo Meloni da un anno a questa parte (nessun Governo dal dopoguerra aveva predisposto degli aiuti così sostanziali a madri e coppie con figli) non servono quasi a nulla se non si lavora dal punto di vista psicologico e culturale. E questo lo afferma a ragione veduta anche il Ministro Roccella.

L’eredità dell’egemonia culturale della sinistra messa in atto dagli anni Cinquanta del secolo scorso, con la complicità del Concilio Vaticano II e di larga parte del clero, hanno facilitato il pasoliniano “mutamento antropologico” degli italiani: la famiglia, la società naturale che ha reso grande ogni civiltà della storia e in primis quella italiana, è stata sventrata giuridicamente, naturalmente, politicamente e antropologicamente, dal ’68 in poi.

Cause del regresso demografico

Le cause di questa denatalità che attanaglia gli europei da decenni, in un’epoca dove più della metà dell’aumento della popolazione previsto da qui al 2050 sarà concentrato in nove Paesi: India, Nigeria, USA, Pakistan, Congo, Indonesia, Etiopia, Tanzania ed Egitto; sono da attribuire principalmente a tre fattori:

OGGETTIVI/ECONOMICI

La storia della cultura dominante che “siamo troppi su questa terra” è irreale. È storicamente e filosoficamente provato che una popolazione con un alto tasso di natalità è produttiva, invece troviamo che da una parte la crisi economica ed il conseguente calo del potere d’acquisto ha disincentivato i cittadini italiani a fare più figli, congiuntamente alle spese sproporzionate delle strutture per l’infanzia. Nella passata società rurale di una cinquantina d’anni fa i figli andavano a costituire un investimento anche sotto il profilo economico, perché sarebbero poi andati ad impiegare la propria forza lavoro nelle campagne. Oggi invece sempre in termini economici costituiscono un costo significativo per ogni nucleo familiare in epoca di caro vita, inflazione e precarietà diffuse. A questa sintetica panoramica si aggiunge l’emigrazione dei nostri giovani connazionali, che oggi conta circa 6 milioni di italiani iscritti all’A.I.R.E. (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero). Stiamo parlando di circa un decimo della popolazione residente in Italia che cresce di circa il 2% ogni anno!

SOGGETTIVI/SOCIALI

In alcuni casi la carriera lavorativa richiede determinate necessità che spesso non collimano con gli impegni che dei figli piccoli richiedono.

Altre cause di ben altra natura, sono da imputare al drastico cambiamento dei costumi delle cosiddette società occidentali, dove le relazioni affettive instabili si fanno sempre più diffuse e va da sé che la famiglia come progetto personale che svolge una funzione sociale, istituzione perenne ed edificante per ogni individuo, difficilmente riesce ad affermarsi come modello valoriale imprescindibile per la continuità di un popolo, in questa contemporaneità dove l’unico imperativo è l’appagamento individuale e dove la massima aspirazione propinata dagli influencer di turno si riduce all’edonismo smisurato fine a sé stesso.

FISIOLOGICI

L’età è quindi sempre più avanzata nel concepire per le madri, oggi si fissa al di sopra dei 32 anni. Questo procrastinare il concepimento rispetto causa un incremento di infertilità, unitamente con patologie come l’endometriosi e stili di vita che causano squilibri ormonali e mestruali si rivelano sempre più endemici, vanno quindi ad ostacolare la possibilità di concepimento. La fecondità scende quindi a 1,27 figli per donna, se consideriamo le donne italiane, e a 2,43, se consideriamo le donne straniere.

Aborto

L’Italia resta uno dei Paesi con il più basso numero di interruzioni di gravidanze volontarie all’anno, la media negli ultimi anni di aggira drammaticamente intorno alle 70 mila unità all’anno. In una nazione come la nostra, dove il decremento delle nascite è sempre più grave, favorire indiscriminatamente gli aborti costituisce un crimine contro la possibilità della nostra gente di continuarsi nel tempo. Avere meno figli oggi vuol dire anche far diminuire il numero di giovani dell’Italia dei prossimi decenni, che andrà a favorire un’ulteriore diminuzione delle nascite. Ciò comporterà un ulteriore calo di individui impiegati nei settori produttivi, facendo così aumentare i pensionati e incrementando la spesa sanitaria per poter affrontare la vecchiaia di una popolazione sempre meno giovane e sempre più longeva. Il sistema contributivo e quello sanitario, procedendo di questo passo, necessiteranno inesorabilmente di una ristrutturazione radicale rispetto lo stato attuale e si va profilando un sistema che si dirige verso le privatizzazioni. In ossequio a questa emergenza, la Maggioranza potrebbe operare per fare in modo che lo Stato avvii una procedura dove si fa garante nell’affidare ad una coppia stabile e meritevole, il bambino della donna che vuole abortire. La proposta di legge “Un cuore che batte” che sarà discussa nelle commissioni Giustizia e Affari Sociali, che consiste nel far ascoltare il battito cardiaco del feto alla madre, potrà darle piena consapevolezza che il concepito è un essere umano a tutti gli effetti, persuadendola a desistere dall’abortire per valutare una scelta alternativa che garantisca il diritto a vivere una vita dignitosa del nascituro.

Sostegno economico

L’inversione di rotta deve essere celere, nonostante i risultati benefici di un auspicato cambiamento in positivo non si possano manifestare con immediatezza. E la risposta deve essere politica, congiuntamente con un’azione culturale in contro tendenza rispetto l’individualismo imperante predicato dall’egemonia progressista. L’obiettivo che gli esecutivi devono porsi nel medio lungo periodo deve partire da una soluzione di natura statistica, ovvero raggiungere un indice di natalità che ci consenta di sopravvivere: 2 figli per coppia entro il 2040. Partire da una soluzione economica più consistente, dividendo l’onere economico dei figli a carico della famiglia fino alla maggiore età tra Stato e famiglia con un taglio delle tasse atto ad assorbire il costo fino al 50%, in prospettiva di un investimento che si ripaga col tempo. Sospendere l’aumento dell’IVA dal 5% al 10% sui prodotti per l’infanzia proposta con la manovra per la Legge di Bilancio del 2024. Estendere in altre province il progetto “Vita Nascente” promosso dalla Regione Piemonte; con cui sono stati destinati nel 2023 fondi per il sostegno e il supporto alla natalità, tra cui: sostegni economici per affitti, buoni spesa, asili nido e scuole dell’infanzia, mense scolastiche, biglietti per mezzi pubblici di trasporto, tirocini per il reinserimento lavorativo dopo la gravidanza, consulti e visite con professionisti.

Affermazione e riconquista culturale

Ma è storicamente provato che – a differenza di ciò che potrebbe apparire un paradosso – è il benessere economico che scaturisce anemia demografica; così come l’urbanizzazione massiccia che fa crescere morbosamente le metropoli non per virtù propria, ma attingendo dallo svuotamento dei piccoli comuni, genera una delle prime fasi di questo processo, rendendo in primis i nostri grossi agglomerati urbani infecondi. 

Questo meccanismo in un primo tempo attenta alla potenza dei popoli e successivamente li conduce alla morte.

Robert Maltuse nel 1798 predicava attraverso la sua opera omnia “Tentativo di una legge demografica”, la limitazione delle nascite nei paesi europei, cercando di minare l’esistenza fisica dei suoi popoli predicando la lotta contro la sovrappopolazione a causa di un sedicente limitato margine di nutrizione, influenzando con le sue teorie la vita politica ed economica dell’Inghilterra di allora, facendo giungere i suoi echi presso il Congresso demografico mondiale di Ginevra del 1927, dove dotti scienziati americani ed inglesi perorando in quella sede la teoria maltusiana del birth control.

Oggi invece il pretesto adottato da chi predica lo spopolamento dell'”Occidente” verte sul trend di chi è affetto da eco-ansia. L’avvenire del nostro popolo per alcuni pare sia divenuto un problema di secondaria importanza rispetto a teorie ideologiche non dimostrate scientificamente, fondate sulla paura indotta e sul catastrofismo imminente.

Pertanto le leggi demografiche (anche le più draconiane) e gli incentivi (anche i più ragguardevoli), da sole non sono sufficienti ad annullare il calo demografico che affligge la nostra società.

Lo possono tamponare o ritardare, ma se non coincideranno con la gioia, l’orgoglio e la volontà degli italiani di essere continuati come individui, come famiglia e come popolo, ogni misura calata dall’alto resterà poco più di un palliativo.

L’epoca che il Destino ci ha riservato sarà sempre più caratterizzata da bare piene e da culle vuote. È nostro compito continuare ad operare per conquistare l’avvenire con la nostra discendenza.