COSA SERVE PER L’ECONOMIA E IL LAVORO

In un mondo sempre più globalizzato, dobbiamo avere la consapevolezza che l’Italia è un Paese caratterizzato dal 95% di Piccole e Medie Imprese (PMI) e, le scelte di Draghi sulla concorrenza non hanno tenuto conto, o meglio non ne hanno voluto tenere, di questa specificità; causando e portando così al dissesto imprenditoriale.
Queste imposizioni derivano da una visione di gran parte della classe politica, solo ed esclusivamente di impronta globalista, che affronta solo ed esclusivamente temi macroeconomici trascurando, molto probabilmente volutamente, le PMI e le sue fragilità.
Nello specifico la legge sulla concorrenza del 2022 aderisce ai principi dell’iperliberismo che ha messo in difficoltà le PMI, i commercianti, gli ambulanti, i concessionari balneari.
Dati recenti computano oltre 110.000 attività commerciali scomparse negli ultimi anni; 110.000 famiglie che hanno dovuto rimodulare le loro esistenze, finendo talvolta ai limiti della soglia di povertà, con serie e concrete conseguenze sociali.
Occorre invertire la tendenza perché, come sostiene anche il sociologo Francesco Alberoni, “In Italia piccolo sarà sempre bello”.
In un’economia mondializzata, in cui ognuno è in concorrenza con tutti, il piccolo deve sempre cedere di fronte ai giganti e viene spesso assorbito da loro. Spesso non giova nemmeno differenziarsi, essere innovativo e originale, perché i gusti si sono purtroppo standardizzati.
Qui le conseguenze serie e concrete sono anche sul piano culturale.
Garantire la sopravvivenza del piccolo significa garantire la tutela e la sopravvivenza del ‘locale’, della storia, della specificità; perché l’Italia è appunto piccola, estremamente differenziata, ricchissima di storia e di tradizioni artistiche con una popolazione individualista e creativa.

Diverse, ma semplici e percorribili, restano le iniziative ed i provvedimenti che andiamo a proporre nel novero dell’adozione in tema di fiscalità per le imprese e per il lavoro, aspetti cruciali del nostro sistema economico e produttivo che, come sopracitato, si differenzia da quello comunitario che intende imporre, senza tutela alcuna, dettami improntati all’unicità fiscale proprio non avendo alcun rispetto per le differenziazioni e le specificità, soprattutto come quella italiana.


Serve:
– una radicale riforma fiscale volta alla detassazione delle spese delle famiglie italiane in cui la tassazione dei redditi deve avvenire al netto delle spese di gestione familiare e in cui solamente il reddito netto deve costituire base imponibile
– una tassazione sull’extragettito di grandi gruppi multinazionali e del sistema bancario
– un progressivo aumento del taglio del cuneo fiscale, perché solo riducendo il costo del lavoro si può incentivare l’occupazione (sotto questo aspetto l’attuale esecutivo si sta già, pur timidamente, indirizzando)
– reintroduzione dei voucher per facilitare settori strategici come turismo ed agricoltura;
– rilancio grandi opere pubbliche, finanziate attraverso l’emissione di una moneta parallela interna, così da non creare debito ed aumentare l’occupazione;
– creazione di “zone franche” dove gli imprenditori potranno investire a tassazione zero.

Vanno tutelati e promossi settori strategici come turismo ed agricoltura; con la contorta liberalizzazione delle concessioni balneari vengono favoriti solamente i grandi gruppi industriali e finanziari, spesso stranieri, colpendo un intero settore.

Il mondo dell’agricoltura, che ha visto proprio recentemente il conflagrarsi di grandi e sacrosante proteste, che non solo rappresentano ed incarnano battaglie a tutela dell’esclusivo settore primario, fetta importante del PIL italiano, ma incarnano la tutela proprio contro le imposizioni delle logiche globaliste, volte ad affossare la produzione nazionale a favore di grandi gruppi multinazionali, snaturando la specificità della produzione, la qualità e genuinità dei prodotti, a favore della standardizzazione e della conseguente scarsa qualità degli stessi.

Il comparto agricolo denuncia e rivendica giustamente:
• Il mancato riconoscimento del loro costo di produzione annuo, sui prodotti agricoli coltivati al campo e nelle stalle, intensificando gli interventi in materia di concorrenza sleale;
• aumento sproporzionato dei costi fissi di gestione e di produzione, ivi compresi nuovi adempimenti fiscali e burocratici (gasolio agricolo, energia, costo del lavoro)
• una politica comunitaria sempre più dannosa verso gli agricoltori, sempre più prona ai grandi gruppi finanziari ed alle lobby commerciali legate alla grande distribuzione (vedi la farina di grilli, la carne sintetica, vino annacquato), ma soprattutto la drastica riduzione dei principi attivi per combattere le fitopatie, quando invece in altri paesi extraeuropei i disciplinari di produzione risultano essere più morbidi e quindi si può somministrare di tutto su prodotti che poi vengono importati da noi e messi in distribuzione;
• vista la grave emergenza economica e finanziaria del settore, istituire una moratoria sui mutui e sulle rate contributive previdenziali;
• promuovere incentivi e detrazioni per chi compra ‘prodotti italiani’, sostenendo così la produzione nazionale


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