IMMIGRAZIONE: UN PROBLEMA SOCIALE E DI SICUREZZA

L’immigrazione si può definire come una delle nostre battaglie storiche e prioritarie. Decenni di opposizione a politiche migratorie sconclusionate definiscono molto bene le nostre posizioni ed i nostri interventi in merito.
Trattasi però di un argomento molto controverso e pericoloso per sua stessa natura e per questo non deve essere trattato con superficialità.
Il rischio di buttare il tutto in “caciara da social” è molto alto e paradossalmente funge da volano nello sviare l’opinione pubblica da un problema che meriterebbe attenzioni rigorose, adeguate pianificazioni ed una ampia presa di coscienza.
Innanzitutto per un’adeguata credibilità politica le affermazioni che si riferiscono a quest’argomento devono essere sempre supportate da dati provenienti da fonti accreditate, molto meglio se istituzionali o addirittura “di parte avversa”. Il superare certe affermazioni manichee ci può permettere di oggettivizzare il problema e proporre soluzioni che possano essere inattaccabili.
L’Italia, come nazione di frontiera, è dai primi anni 90, in occasione della caduta del muro di Berlino e di tutte le conseguenze della “depolarizzazione” mondiale, terra di primo impatto per quanto riguarda le ondate migratorie che si susseguono, tutte legate a vari fenomeni storici, bellici ed economici che si sono susseguiti in un continuum senza sosta.
Partendo dal miraggio della “nuova America”, che caratterizzò gli arrivi dai paesi ex sfera sovietica più vicini a noi (Albania), seguendo con le guerre balcaniche, le crisi medio orientali ed africane, le guerre civili in Nordafrica, le primavere arabe, le rivoluzioni nei paesi dell’est. A queste crisi umanitarie si amalgamano spessissimo motivi economici che risultano essere trasversali e continui, basti pensare che la cittadinanza dichiarata (fonte Min. Interno – 20 Febbraio 2024) in maggior numero è quella del Bangladesh, nazione estranea alle succitate crisi internazionali, ma che strategicamente ed economicamente risulta schiacciata ed annientata dal punto di vista economico dalle politiche dei suoi due giganteschi vicini India e Cina. Quindi si va a delineare uno scenario in cui le migrazioni di tipo prevalentemente economico con il carico delle numerose crisi internazionali, non faranno che aumentare la pressione sui territori di confine.
Per quanto riguarda il proseguo è fin troppo evidente come l’impatto maggiore sulla gestione delle migrazioni lo abbia la disunità dell’Unione Europea. Questa entità al momento – non rappresentando un vero e proprio soggetto politico – non è in grado di legiferare efficientemente sulla materia e si perde in
viottoli di procedure ed interessi nazionali che spesso sono in concorrenza e contraddizione con le politiche comunitarie (basti pensare alla vicenda del franco CFA, “moneta unica africana” supportato e stampato dalla Francia, ancorato all’Euro – prima al franco francese – da una parità fissa stabilita dalla Francia, e la sua convertibilità è stabilita esclusivamente dalle autorità monetarie francesi che con questo meccanismo di fatto controllano le esportazioni dei paesi “aderenti”).
Una politica aggressiva della Cina in Africa (si veda in tal merito la Relazione -A6-0080/2008 – sulla politica della Cina e le sue conseguenze per l’Africa, in cui si spiegano le origini della “collaborazione” Cina-Africa e del suo impatto che a distanza di 15 anni ormai è compiuto), vedrà intensificarsi la probabilità di conflitti tra superpotenze nello scenario africano.
La nuova diga Grand Ethiopian Renaissance Dam sul Nilo in territorio etiope finanziata da banche cinesi provvederà al 100% al fabbisogno di energia etiope, e delle sue industrie di proprietà cinesi, causando una paventata crisi idrica ed energetica nei paesi a valle della diga stessa, questo sta scatenando una crisi
umanitaria e militare che potrebbe velocemente precipitare.
Altre nazioni utilizzano il loro status di Paesi cuscinetto per minacciare l’Europa di un’invasione di immigrati se non si risponde affermativamente a certe richieste soprattutto di integrazione militare ed economica. Esiste un legame indissolubile tra le politiche demografiche nazionali e la lotta all’immigrazione. Sul medio lungo periodo si deve tendere alla creazione di un ambiente favorevole
e di una mentalità condivisa di incremento della natalità. L’obiettivo delle misure è quello di aiutare l’Europa a sfuggire alla trappola della bassa fertilità, aumentando il tasso di natalità per sostenere la popolazione; anche perché in alcuni Stati dell’UE, una fascia considerevole di giovani europei è ben
disposta a creare una famiglia; ci sono esempi di politiche di sostegno in tal senso che hanno dimostrato che risultati incoraggianti si possono ottenere.
La sostituzione etnica ce la stiamo causando non facendo più figli.
Detto così sembra una semplificazione estrema del discorso, ma di fatto la sintesi più attinente è questa: stiamo lasciando un vuoto e qualcuno lo riempie. Con la forza del numero e della coscienza nazionale Europea la gestione della cosiddetta “integrazione” sarebbe sicuramente più maneggiabile e gestibile.
Di contraltare è falso dire che la malattia demografica si cura con l’immigrazione.
La cura migratoria è vera in uno scenario di globale impoverimento, sia dei paesi sorgente, che continueranno ad offrire manodopera a basso costo e a diritti zero (anzi sempre più al ribasso), sia dei paesi destinazione in cui il sistema sfrutta una concorrenza, causata da una guerra tra poveri, per far tendere al ribasso tutta la gestione economica e lavorativa di interi settori.
Fino a quando non ci sarà uno stato europeo in grado di affrontare il problema con politiche unitarie, occorre affrontare e risolvere i paradossi della politica migratoria nazionale. Il “click day” imprenditoriale celebrato circa un anno fa (il 27 marzo 2023) vide oltre 250 mila domande presentate dagli imprenditori italiani per richiesta di manodopera non comunitaria, il triplo rispetto agli 82 mila ingressi consentiti dal
decreto flussi per il 2023. Questo decreto flussi è ormai estremamente datato: istituito dalla legge Turco-Napolitano (1998) e consolidato dalla Bossi-Fini (2002) e risente di limiti dovuti all’età ed al cambiamento di scenario statistico legato all’immigrazione, la domanda di ingresso viene fatta da un datore di lavoro che non ha mai visto né conosciuto il lavoratore.
Per questo, molti analisti sostengono che i beneficiari siano già presenti in Italia, rendendo la procedura una “sanatoria” mascherata. L’unico criterio di selezione è quello cronologico di presentazione delle
domande, senza alcuna valutazione nel merito dei profili e delle competenze. Nello scorso anno un efficace mezzo di campionamento statistico è stato avviato ovvero, da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, un confronto con le parti sociali per un’analisi del mercato del lavoro propedeutica alla definizione delle quote massime di ingressi di lavoratori stranieri in Italia per il triennio 2023-2025.
Questi dati risultano estremamente preziosi nella definizione di politiche migratorie ma ancora di più in un eventuale direzione nazionale per la definizione di iniziative di formazione sul brevissimo periodo destinate ai cittadini italiani. Il sogno sarebbe un’iniziativa in linea, da parte della comunità Europea che
dovrebbe incentivare i propri cittadini ad una partecipazione organica al mondo del lavoro con un percorso ben determinato e funzionale. Questo sarebbe un vero primo atto politico di un auspicabile futuro stato Nazione Europeo!
Atti politici che a livello nazionale possono subire vergognose ingerenze da parte di organismi non legiferanti, emblematico è il caso di un Ministro degli Interni, legittimamente in carica ed esponente del “potere esecutivo” dello Stato italiano, che viene accusato dalla magistratura (potere giudiziario) nello svolgimento delle proprie funzioni in relazione ad un evento legato all’immigrazione clandestina.
Un esercizio estremamente arbitrario del potere della magistratura a fronte di una interpretazione viziata da contorni ideologici di un reato che non sussiste. Gli impatti negativi dell’immigrazione hanno una valenza piramidale, ovvero colpiscono di più chi sta più in basso nella piramide sociale. Quindi una particolare attenzione va data alle politiche locali.
Le iniziative urbanistiche, di costruzione, di rinnovo del tessuto urbano devono assolutamente essere inquadrate all’interno delle politiche di incentivazione demografica e di semplificazione della gestione di una famiglia. La creazione di ghetti urbani ad alto tasso di criminalità va combattuta con il supporto ad iniziative locali di costruzione a misura umana, per evitare la diffusione di un modello che è già ampiamente fallito nei paesi nordici e nella vicina Francia, tra “no goes zone” e “banlieau”, la quale con il progredire delle generazioni di immigrati, vede la ghettizzazione trasformarsi in normalità e si vengono a creare vere e proprie zone franche all’interno delle città europee. L’estrema conseguenza è la delegittimazione dell’esistenza stessa delle comunità locali ormai fagocitate da questi agglomerati senza alcuna identità né legge.
Ormai l’immagine dell’Europa assediata da orde di immigrati ha fatto un po’ il suo tempo. L’Europa ha aperto il suo ponte levatoio da un pezzo e ci duole dire che il ponte levatoio in oggetto spesso e proprio la nostra amata Patria. Soluzioni facili ed immediate ad un problema ormai endemico di questa nostra
epoca non se ne intravedono, la strada giusta da percorrere dal punto di vista politico è quella di costruire la nuova Europa a misura di europei.
La volontà di potenza continentale deve partire innanzitutto da atti politici. Il tema ineludibile della gestione dei flussi migratori e della gestione delle crisi geopolitiche e geoeconomiche ad esso interrelate, è il vero banco di prova per il futuro, dell’Italia e dell’Europa.
In sintesi:
– Politiche di controllo dell’immigrazione totalmente continentali inquadrate in una politica organica comunitaria europea.
– Politiche di campionamento del mondo del lavoro al fine di dirigere il timone dello Stato verso iniziative europee di mobilità lavorativa.
– Ostracismo assoluto verso ingerenze non statali nella gestione
dell’immigrazione.
– Risoluzione dei paradossi della politica migratoria nazionale (ridimensionamento delle leggi Bossi-Fini e Turco-Napolitano) con particolare attenzione ai rimpatri ed alla cosiddetta protezione internazionale.
– Collaborazioni internazionali con i paesi sorgenti (a carattere realmente Europeo).
– Iniziative sul lungo periodo per l’incentivo alla demografia nazionale.
– Iniziative locali per costruire città a misura umana e non banlieau senza legge

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