LE PREOCCUPANTI POLITICHE AGRICOLE DI STAMPO UE

Assistiamo da una decina di giorni a questa parte ad un moltiplicarsi di proteste in giro per l’Europa che coinvolgono lavoratori operanti nel settore dell’agricoltura, manifestazioni che hanno prodotto in vari paesi notevoli disagi, con blocchi stradali, incidenti e addirittura un morto e qualche copertone dato alle fiamme, come evidente reazione alla green economy che è un po’ il fattore scatenante di tutte queste proteste; anche in Italia si sta muovendo qualcosa, pur se con un tenore decisamente inferiore rispetto agli altri paesi europei, ma sulla stessa falsariga la protesta sta prendendo piede anche da noi.
Queste contestazioni che si stanno sviluppando a macchia di leopardo in varie province italiane, sembrano essere a margine o comunque esterne al principale sindacato di categoria rappresentato dalla Coldiretti, probabilmente perché le prese di posizione dell’attuale Governo su carne sintetica e novel food, ne hanno condizionato il raggio d’azione; sembra che questa protesta abbia delle analogie con quella di qualche anno fa, cosiddetta “9 dicembre” o “dei forconi”, dato che anche a “capo” di quella attuale, troviamo sempre Danilo Calvani, già portavoce della precedente. Ci fa un po’ specie ritrovare gli stessi personaggi in situazioni analoghe e in ruoli chiave, più che altro perché non rappresentano un bel segno premonitore per la buona riuscita della protesta stessa…per dirla alla Andreotti “a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”.
In un contesto così variegato di aderenti, si trova un po’ di tutto e, conseguentemente, anche le istanze perorate risultano essere le più disparate, in taluni casi rasentando anche l’assurdità: tra queste primeggia sicuramente quella di “uscire dall’Europa”, che attualmente non solo sarebbe castrante a livello internazionale per il nostro paese da un punto di vista prettamente economico, ma soprattutto sarebbe un autogol per il comparto economico stesso, dato che la Comunità Europea destina il 20% delle proprie risorse proprio in supporto all’agricoltura.
Sicuramente la Comunità Europea è responsabile per lo scatenarsi di queste proteste, principalmente per i dettami e le istanze legate al “green deal” che sono assolutamente masochiste: già la stupida decisione di far cessare la produzione dei motori a scoppio entro il 2035 distruggerà uno dei comparti trainanti dell’economia comunitaria, a solo vantaggio dei paesi produttori di batterie elettriche per automobili (leggasi Cina in primis); la Germania tra gli altri problemi si vedrà togliere l’agevolazione per il gasolio agricolo entro il 2026. Per chi non fosse del settore, presupponendo un prezzo attuale di 1,7€/lt del diesel alla pompa, il gasolio agricolo è circa 0,90€+iva ed i conti son presto fatti. Tutto ciò in ottica delle politiche green. Il fatto che oggi in Italia non ci sia questa presa di decisione non esclude che non toccherà anche a noi a breve.
La risposta all’inquinamento globale, quindi, sarebbe quella di sostituire il motore a scoppio con il motore elettrico, pretendendo di paragonare un mezzo cittadino a mezzi pesanti come camion e trattori. Il cittadino, o consumatore come piace definirlo a molti, deve pensare che le politiche di cui sopra, stanno emanando bandi europei che prevedono lo stanziamento a fondo perduto per l’acquisto di questi mezzi, parliamo di cifre esorbitanti, cioè del 70%, quindi un mare di soldi pubblici. Nessuno probabilmente si pone il problema che l’autonomia di questi mezzi non sarebbe sufficiente a garantire una intera giornata lavorativa, e quando anche fosse possibile, qualcuno dovrebbe pur produrre queste enormi quantità di energia elettrica.
Uno dei punti fondamentali per il comparto è il riconoscimento del giusto prezzo per il prodotto agricolo.
Non servono elemosine come la PAC (Politica Agricola Comunitaria) che tra l’altro sta subendo tagli di quasi il 50% o dei piani di sviluppo rurale che fanno riempire la bocca a politici ed associazioni di categoria. I soldi messi sul piatto sono tantissimi, ma sono incentivi ad indebitarsi ulteriormente.
Dal periodo pre-covid sono aumentati del 30% i prezzi delle attrezzature e dei macchinari agricoli, tramite i fondi PNRR, PSR ed altri bandi regionali o di Camere di Commercio gli incentivi del 40% coprono a malapena questi aumenti smisurati. Finché si continua a lavorare sottocosto non è l’acquisto di un trattore nuovo a salvare un’azienda, anzi sono specchietti per le allodole all’insegna del lavoro sicuro (bandi INAIL) e per la diminuzione delle immissioni per la diminuzione dell’inquinamento.
Dicevamo, basta elemosine, l’operazione proposta dai manifestanti sarebbe a costo zero per il Governo: per ogni prodotto del settore agricoltura, pesca ed allevamento si dovrà individuare il costo di produzione, dato che Istat o Ismea hanno bene chiari gli andamenti dei prezzi di ogni fattore che concorre alla produzione, e stabilire quale sia la soglia minima del prezzo di vendita, che potrebbe andare dal 15 al 20% in più rispetto a quello base.
Esiste già un DDL, fermo al senato da 2019.
Prendiamo ad esempio il latte che è alla base dell’alimentazione dell’intero ciclo di vita. Produrre latte costa in media 50 centesimi al litro, con picchi, in alcune aree, che salgono ai 55 centesimi. Togliendo chi rientra nella filiera di prodotti come, ad esempio il parmigiano reggiano, i cui consorzi riconoscono un prezzo più sostenibile, mentre per tutti gli altri è una continua lotta con prezzi che vanno bene al di sotto di quanto sostenuto. In questo periodo il prezzo alla stalla si aggira attorno ai 46 centesimi. Come dicevamo per calmare le emorragie di agricoltori e allevatori non servono regalie da campagna elettorale, ma il giusto prezzo.
Inoltre non c’è solo la diminuzione dei prezzi, c’è anche, spesso e volentieri una diminuzione della quantità contenuta nella confezione.
Eurostat dice che dal 2005 ad oggi l’Unione Europea registra una diminuzione di circa il 37% di aziende agricole: quasi 600mila aziende hanno chiuso, più che dimezzate le imprese dedite a pastorizia e allevamento.
Esistono situazioni, visto il contesto e il depauperamento del settore, dove la famiglia stessa invita i ‘propri figli’, una volta elemento di continuità, a desistere di cercare e provare a garantire la continuità, ma bensì a cercare di trovare lavoro altrove.
Punto focale della politica green dicevamo è l’inquinamento globale che sarebbe provocato per almeno il 15% dagli allevamenti, per lo più intensivi; quindi, cosa si fa se non proporre la proteica e di semplice produzione farina di insetti? Studi accurati ne comproverebbero la sostenibilità economica, mentre sulla salubrità si potrebbe soprassedere, in questo modo anche l’industria del farmaco ne gioverebbe. Quindi perché ostacolare questa scelta.
La critica forse più motivata mossa dagli agricoltori all’Europa, probabilmente è quella contro il “set-aside”, perché la PAC prevederebbe l’obbligo di lasciare incolta una parte del proprio seminativo, cosa che assume tutti i connotati di un auto evirazione del proprio comparto produttivo, a tutto vantaggio dei latifondisti internazionali, tipo Monsanto. È fuori da ogni logica sovvenzionare chi decide di lasciare incolta la terra, ma probabilmente è peggio ancora l’idea dei numerosi progetti di parchi agrisolari che andranno a coprire questi terreni con impianti che saranno già vecchi tra un decennio, ma che rimarranno rifiuti per l’eternità.
Riempirsi la bocca e le tasche dei fondi del PNRR senza ragionare sul fatto che sono soldi da restituire, è tutto fuorché lungimirante da parte di chi ha addirittura usato il termine “Sovranità” e “Made in Italy” per ribattezzare un Ministero.
Mentre nel 2023 il crollo del prezzo del grano italiano si è attestato intorno al 30% nonostante la scarsità del prodotto dovuta alla siccità e all’eccesso d’acqua primaverile, le importazioni di grano canadese sono aumentate a dismisura. Vale la pena approfondire la motivazione per cui un consumatore deve stare sempre più attento all’etichettatura del prodotto che acquista.
Su questo punto possiamo dire che in Italia siamo avanti rispetto ad altri paesi.
Molti sanno cosa sia il glifosato, per chi non lo sapesse si tratta di un disseccante che viene usato in tutto il mondo, ma che trova giustamente delle regolamentazioni stringenti in particolare in Italia, perché sono state rilevate negli anni delle attinenze con malattie degenerative; l’utilizzo infatti è consentito solo in pre-semina per l’eliminazione di infestanti o in aree non coltivate. In Canada veniva utilizzato sulla coltura in prossimità della mietitura per far essiccare direttamente “in campo” il grano, visto che il clima non permette la piena maturazione del prodotto in modo naturale. Dopo il divieto dell’utilizzo con queste modalità il Canada ha vietato l’impiego di questo erbicida in fase di pre-raccolta come disseccante, ma hanno introdotto un escamotage: basta dichiarare che lo si usa come diserbante per togliere le infestanti, anche prima di procedere al raccolto, per poterlo spargere sulle coltivazioni. Non è raro che durante i controlli dei NAS – che non sono poi così ricorrenti – vengano analizzati e rilevate presenze di glifosato nel grano importato.
Va compreso che esistono dei disciplinari a cui attenersi che innalzano di molto, i costi di produzione. Migliaia di ettari di frutteti sono stati abbattuti negli ultimi anni, tonnellate di merce buttata perché colpita da malattie che non si possono più gestire con i criteri che vengono imposti, proprio perché ogni anno vengono eliminati principi attivi, che però possono essere utilizzati nei paesi extra UE e di conseguenza importati senza problemi, e che finiscono poi sulle nostre tavole.
Ultima ma non meno importante la questione bancaria. Esattamente come per tutti gli altri settori produttivi e per le famiglie italiane, la situazione generata dall’innalzamento dei tassi di interesse nell’ultimo anno sta attanagliando chiunque abbia visto il proprio potere d’acquisto scendere vertiginosamente. E come gli altri lavoratori chiedono un adattamento del proprio salario, l’imprenditore agricolo chiede il giusto prezzo al momento della vendita del proprio prodotto: attaccato da speculazioni internazionali, oggetto di truffe continue vedi il cosiddetto italian sounding, viene messo in ginocchio da regolamenti folli dettati da chi non sa neanche cosa significhi lavorare in agricoltura.
L’Europa continente rappresenta una potenza politica ed economica che, se sapientemente utilizzata, potrebbe e dovrebbe imporsi sullo scacchiere geopolitico internazionale con una posizione di primissimo piano, al pari delle superpotenze che allo stato attuale decidono le sorti delle politiche economiche mondiali; l’Europa non è il male, sicuramente è sbagliata questa Europa delle banche e dei politici camerieri dei banchieri e dell’alta finanza, che si prostrano ai dettami dei mercati, senza tutelare gli interessi dei popoli che rappresentano.
Riprendendo in chiusura la folle decisione della cessazione di produzione di motori a combustione solo a scopo di esempio; va sottolineato che se l’Europa intera di colpo smettesse di usare mezzi a combustione per passare all’elettrico, le emissioni di Co2 diminuirebbero di circa l’8% a livello mondiale…per produrre le batterie di cui l’Europa necessiterebbe per questo passaggio, la Cina costruirà 47 nuovi centrali a carbone per fare fronte a questo incremento di richiesta. Non serve aggiungere altro.

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