Enoch here, enoch there, we want enoch everywhere!* Consigli per i conservatori.
«La funzione principale dell’uomo politico è agire contro i mali che si possono prevenire. Cercando di fare ciò si trovano alcuni ostacoli che hanno radici profonde nella natura umana. Uno di essi è che non può essere dimostrato che certe cose rappresentano un male finché non accadono: ogni volta all’inizio c’è sempre spazio per dubitare e chiedersi se questi mali siano reali o immaginari. Per la stessa logica, essi ricevono poca attenzione in confronto ai problemi del momento, che sono pressanti e non lasciano spazio a discussioni: per questo la tentazione costante di ogni politico è quella di concentrarsi sui problemi immediati a scapito del futuro. In primis, la gente tende a confondere la previsione dei problemi con il causare i problemi o persino con il desiderare i problemi: essi amano dire “se solo la gente non ne parlasse, probabilmente non accadrebbe”».
Perché questo incipit tratto dall’apertura de “Il discorso dei ‘Fiumi di sangue’**”, consegnato all’etere attraverso il canale televisivo ATV di Birmingham il 20 aprile 1968 dal deputato conservatore Enoch Powell***? Perché il titolo, in parte provocatorio e in parte ironico dell’articolo? Ci arriveremo, dopo…
Nei primi Anni ’80 scoppiarono in Gran Bretagna le prime pesantissime rivolte razziali a Bristol, Birmingham e Londra (Brixton, Notting Hill). Uno stacco temporale assai limitato rispetto alla data del discorso di denuncia pronunciato pubblicamente da Enoch Powell****.
Il tempo passa…e in quartieri interi delle città inglesi si applica di fatto la legge islamica; corti islamiche che applicano la Shari’a in materia di dispute e contenziosi civili vengono legalizzate; intere zone delle grandi città (ma non solo) divengono delle autentiche No go areas per la popolazione di pelle bianca e di origine europea (non diversamente da quanto accade in Francia, in Belgio, in Svezia e altrove); le coste del Kent e del Sussex conoscono il fenomeno degli sbarchi di immigrati clandestini in maniera costante; fanno la loro comparsa le azioni distruttive – deliranti e demenziali – dell’attivismo woke e le violenze spesso impunite nel nome del Black Lives Matter.
Veniamo all’oggi. Una settimana fa a Southport – cittadina balneare sul Mare d’Irlanda, vicina a Liverpool – Axel Rudakubana, cittadino britannico, immigrato di seconda generazione nato nel Merseyside da genitori ruandesi, ha commesso una orrenda ed apparentemente inspiegabile mattanza facendo irruzione armato di coltello in un campus estivo, dove alcune bambine stavano frequentando un corso di danza e yoga. Tre di esse, Bebe King di 6 anni, Elsie Dot Stancombe di 7 ed Alice Aguiar di 9. (una prece per questi 3 angeli) sono state colpite letalmente, un’altra mezza dozzina ha riportato ferite ritenute critiche.
Dopo la strage di Southport in molti luoghi d’Inghilterra è scoppiato il caos, con migliaia di cittadini infuriati scesi in strada: a Liverpool, Manchester, Blackpool, Bolton, Bristol, Hull, Nottingham, Stoke-on-Trent e persino a Belfast, dove incredibilmente hanno sventolato insieme l’Union Jack ed il tricolore irlandese per protestare contro quella che i manifestanti, non a torto, definiscono una “invasione”. Ne sono seguiti scontri molto violenti, nei quali vanno però compresi anche quelli di cui si sono resi protagonisti gruppi antifa e di allogeni che hanno dato vita a vere e proprie cacce all’uomo, talvolta al grido di “Allah Akbar”.
E in Italia? A ben vedere pare innegabile il fatto che i prodromi si sono già manifestati da tempo, e prima che la malattia esploda in tutta la sua virulenza sarà bene ragionare come quell’“uomo politico” cui fa cenno Powell nel suo discorso, ed agire in fretta, perché oggi è già domani.
Per chi si definisce conservatore (non è il caso di chi scrive) e non sia affetto da White guilt (il senso di colpa bianco), il discorso di Powell rimane un documento non prescindibile, perché costituisce il più rovente atto d’accusa contro l’immigrazione di massa e la sostituzione dei popoli mai pronunciato da un politico conservatore occidentale dagli anni ’70, quando l’immigrazione dal Terzo Mondo in Inghilterra (ma in generale in Europa) era ancora un fenomeno marginale.
Non è possibile ignorare l’evidenza del fatto che se si introduce in una data realtà un elemento estraneo, l’approccio, l’atteggiamento, i comportamenti dell’elemento e le conseguenze di tale inserimento sono diversi, drasticamente diversi, se l’elemento è l’1%, il 10% o il 20% della realtà in cui viene introdotto. Il numero è (pre)potenza: ci sono dei limiti e delle soglie che non andrebbero mai superati, nell’interesse di chi accoglie ma anche degli ospiti. Se per giunta una società, molto attrattiva sotto alcuni aspetti (in parte effimeri), accoglie in un lasso relativamente breve di tempo una gran massa di stranieri, senza alcun criterio selettivo a monte (in ordine alla provenienza, alla compatibilità culturale, religiosa, alla formazione professionale, alle competenze, alla fedina penale, etc.) gli effetti sono facilmente prevedibili e sotto gli occhi di tutti.
Se poi una gran massa di stranieri, compresa una quota rilevante di pretenziosi (solo diritti e nessun dovere) e male intenzionati, trova una società sfibrata, fatalmente rassegnata, avvizzita, sterile, anodina, senza più slanci e progetti, dove governi, presunte élites culturali, religiosi, intellettuali radical-chic, organizzazioni cosiddette umanitarie e sigle sindacali preparano il terreno con martellanti campagne propagandistiche (vedi ius soli) per far accettare all’opinione pubblica l’invasione…allora il gioco è fatto.
Sciogliere oggi il nodo gordiano delle politiche immigratorie (e della denatalità!) da parte dei cosiddetti conservatori, identitari, patrioti o che dir si voglia, è un imperativo assoluto per il futuro dell’Europa e delle nazioni che la compongono*****.
Solo la miopia, l’irresponsabilità e la stoltezza politica, o il co-interesse economico, finanziario ed ideologico, possono derubricare la tristissima e pericolosissima realtà che si manifesta sempre più diffusamente sulle nostre terre come espressioni di mera intolleranza unilaterale, di razzismo (ad opera – come da copione – di hooligans, estremisti, provocatori, teste rasate, seminatori d’odio, etc.) e di strumentalizzazione dell’estrema destra (con tutto il minestrone di sigle che i disinformatori seriali riescono ad infilarci), com’è tipico di certe campagne mediatiche mistificatrici e di valutazioni dozzinali del fenomeno.
Serve come il pane un po’ di quel buon senso comune che animava le “visioni” di Enoch Powell, che a sua volta rimandano alla preveggenza pressoché coeva di un altro conservatore, il grande etnologo, esploratore e scrittore francese Jean Raspail, col suo “Campo dei Santi”.
Il discorso fatto da Powell mezzo secolo fa, così come il romanzo allora recepito come fantapolitico di Raspail (tanto per restare nel tanto oggi vagheggiato conservatorismo), nell’anno 2024, sono purtroppo cronaca quotidiana.
Sono segnali che non si possono ignorare di come la misura sia colma; sono la temperatura del termometro dell’esasperazione, sono le manifestazioni plastiche delle antinomie della nostra attuale società («inclusiva», «aperta» «liquida» e via di imbrogli dialettici), che è in realtà una feroce utopia; una società in costante latente tensione, potenzialmente esplosiva, in crescente conflittualità: una società perfetta per i padroni del vapore, che campano grazie alla apparentemente paradossale stabilizzazione consentita dal disordine******.
Le vite bianche contano. Non meno delle altre.
«Sono un difensore di tutte le razze minacciate, compresa quella bianca» Jean Raspail
Luca Zampini – Domus Scaligera
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Note:
(*) Coro scandito da migliaia di lavoratori portuali londinesi radunatisi fuori da Westminster il 23 aprile del ’68 mentre nel Parlamento britannico era in discussione il Race Relation Act, la prima legge “antidiscriminatoria” varata dall’allora governo laburista. Si tenga presente che all’indomani del discorso pronunciato da Powell alcuni sondaggi indicavano un gradimento nei suoi confronti da parte dei cittadini britannici intorno all’80%.
(**) Fiumi di sangue (Rivers of blood) rimanda ad un riferimento classico che Powell utilizzò nel denunciare i pericoli dell’immigrazione di massa e il fosco futuro che si annunciava; il riferimento è a una delle profezie della Sibilla nell’Eneide di Virgilio (Libro VI, verso 86, Guerre, Orride guerre vedo e il Tevere spumeggiante di molto sangue): «Quando guardo avanti, sono pieno di presagi, mi sembra di vedere “il fiume Tevere schiumare di molto sangue”» dirà lo stesso Enoch. Non stupisca la citazione classica per un tipo come Enoch Powell, proveniente da una famiglia della classe popolare, di quella cosiddetta working class presso cui godeva, all’epoca, di fortissime simpatie, con grande sconforto di laburisti, sinistra studentesca e non pochi conservatori moderati del suo stesso partito. Enoch, dotato di intelligenza ed ambizione non comuni, affascinato dalla cultura classica (a cui si accostò giovanissimo), approfondì gli studi di lingua e cultura greco-latina e dopo gli studi liceali arrivò a parlare ben 14 lingue; dopo la laurea divenne professore di greco all’Università di Sidney, all’età di 25 anni: il più giovane professore del Commonwealth! Solo Nietzsche aveva fatto meglio di lui ottenendo la prima cattedra a 24 anni…
(***) Powell, personaggio complesso (era tra l’altro considerato il più grande oratore di Westminster dai tempi di Churchill) aveva anche dei difetti agli occhi del sottoscritto: volontario nella Seconda Guerra Mondiale fu uno dei più coriacei nemici dell’Asse, anche se proprio durante la guerra maturò la sua personale avversione agli USA e alla loro politica ritenendoli – sempre ovviamente nella sua ottica di imperialista britannico e di difensore della britishness – un pericolo più grande rispetto a Germania e Giappone contro cui aveva combattuto; fu acerrimo nemico dell’Europa (nell’ottica del suo romanticismo imperiale britannico), confermando la diffusa diffidenza (per usare un eufemismo) dei suoi connazionali verso il Vecchio continente; persa la sua battaglia popolare contro l’immigrazione (e va ribadito che lui non fu mai razzista e tantomeno fascista), ritarò la sua proposta politica caratterizzandola con l’antieuropeismo, per rimodulare poi, ancora, il suo ultimo decennio di politica attiva come rappresentante degli unionisti protestanti dell’Irlanda del Nord.
(****) Per una lettura completa del discorso e un approfondimento sulla figura di Enoch Powell rimandiamo il lettore a libro “ENOCH POWELL. Il Discorso dei ‘Fiumi di sangue’“, curato da Andrea Lombardi per ITALIA Storica, Genova 2020.
(*****) Tra gli interventi positivi di natura strutturale che il governo Meloni sta cercando di operare, quello sul fronte dell’immigrazione – attraverso accordi bilaterali di cooperazione e sviluppo con i Paesi di transito e/o di origine dell’immigrazione, e il tentativo del ripristino delle naturali proiezioni geopolitiche italiane nel mediterraneo e in Africa – è sensato, condivisibile e positivo, rappresentando tra l’altro una via maestra realisticamente percorribile (non senza grandi rischi, difficoltà e contropartite), che sta dando frutti importanti e sensibili sul fronte del contenimento degli sbarchi, calati di oltre il 50% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Chiaro è che il problema immigrazione è più ampio ed è costituito anche da altri aspetti.
(******) Non andrebbero mai ignorati i meccanismi del potere così come li ha indagati con un approccio storico, filosofico e sociologico Eric Werner, studiandone il funzionamento all’interno delle democrazie contemporanee (oggi postdemocrazie). Il Potere incoraggia il disordine, lo sovvenziona persino, ma non lo sovvenziona per sé stesso, bensì solo per l’ordine di cui è il fondamento, al mantenimento del quale concorre. L’ordine attraverso il disordine: questa è la formula. Disordine politico, ma anche morale, sociale, culturale. Per quanto possibile il Potere cerca di confondere le carte, di privare gli individui dei loro riferimenti abituali. L’obiettivo è di destabilizzarli, di renderli estranei al loro ambiente. La realtà sfugge loro, i loro sensi sono anestetizzati. Solo il Potere sfugge alla universale dissoluzione e l’individuo si aggrappa dunque ad esso come a una miracolosa ancora di salvezza.
Il discorso dei «fiumi di sangue». Birmingham, 20 aprile 1968: il più rovente atto d’accusa contro l’immigrazione di massa e la sostituzione dei popoli mai fatto da un politico conservatore occidentale