RIFLESSIONI SULL’ANTIFASCISMO…

In questi giorni, che racchiudono date altamente simboliche come quella del 25 aprile e quella del 1° maggio, nelle quali i richiami alla Resistenza, all’antifascismo (e alla Costituzione) si fanno più roboanti e retorici del solito, riflettevo su come la cosiddetta resistenza antifascista, considerata dai suoi epigoni e corifei come qualcosa di fondante per l’Italia, sia invece oggettivamente viziata dall’assenza in origine di una par costruens – una vocazione e una proposizione costruttiva – che andasse oltre l’essere antagonista al Fascismo.

La mia riflessione risulterà di certo riduttiva, probabilmente fallace, ma questa ricorrente insistenza sull’antifascismo in determinati momenti mi pare “certificare” una condizione palese di ossessione compulsiva, che esplicita, tra l’altro, una manifesta inferiorità di contenuti rispetto alla controparte. Suona molto – a mio modo di vedere – da dubbia genuinità, da verità conculcata e da ricatto da esercitare verso singoli, comunità, governi.

Confortano le mie grossolane perplessità le posizioni di alcuni personaggi non propriamente tacciabili di simpatie per il Ventennio, come lo studioso di storia contemporanea prof. Emilio Gentile che ammette l’interruzione di un processo costruttivo con la nascita della Repubblica italiana; come il noto prof. Ernesto Galli della Loggia, storico ed editorialista del Corriere della Sera che, prima in un convegno nel lontano 1993 e poi in un volume di successo edito nel ’96 e più volte ristampato (“Morte della patria. La crisi dell’idea di nazione tra Resistenza, antifascismo e Repubblica”), si espresse in senso negativo circa il ruolo fondativo dell’identità nazionale da parte della Resistenza.

Proprio in questi giorni, poi, il giornalista, scrittore e politico Gianni Oliva, intervistato dal giornalista (ed editore) Daniele Dell’Orco su Libero di venerdì 28 aprile 2023 («Sì, erano in buona fede. Tra di loro anche Fo») in merito alla polemica che ha coinvolto lo storico Franco Cardini che su l’emittente LA7 ha difeso la buona fede dei ragazzi che si schierarono con la Repubblica di Salò per difendere la Patria, alla domanda “Ma allora perché oggi riesplodono polemiche del genere?” ha risposto: “Più andiamo avanti e più la politica è debole e non le resta che scavare nel passato. I margini di manovra sono stretti. È come correre in una pista da bob, se esci ti schianti. E così visto che non si può parlare del presente né incidere sul futuro per affermare le proprie identità non resta che parlare del passato”.

La sostanza della mia riflessione polemica è però un’altra, o meglio, è mossa da altro, da un interrogativo che spesso mi pongo.

Sempre nel periodo che va dal 25 aprile al 1° maggio, l’area politica (uso questo termine generico) di cui faccio parte e in cui sono entrato gradualmente a partire dagli anni del cosiddetto «riflusso» o disimpegno, celebra la memoria di alcuni morti assassinati per mano dell’antifascismo, la Medaglia d’Oro al Valor Militare ed invalido di guerra Carlo Borsani, l’operaio iscritto ai Volontari Nazionali Ugo Venturini, il giovanissimo studente Sergio Ramelli, l’avvocato ed iscritto al MSI Enrico Pedenovi.

Furono tutti, come moltissimi altri, vittime di violenza, innegabilmente, di una violenza politica, di una violenza politica esercitata in nome e per conto dell’ANTIFASCISMO.

Vengo ora alla domanda motrice della mia riflessione.

Può, oggi, un postfascista, un neofascista, un a-fascista, chiamiamolo come vogliamo, anche solo indirettamente legato alla storia dei morti che ho citato, dichiararsi “antifascista”?

Domanda che a sua volta ne genera un’altra.

Perché inchinarsi e cedere ai ricatti dell’antifascismo, che verranno puntualmente seguiti da altri ricatti (perché è dei delinquenti il ricattare), e dei quali ad una parte consistente di italiani poco o nulla importa?

Credo poco nulla nei partiti e ho poca fiducia degli uomini politici, mi auguro però esistano ancora politici Uomini capaci di uscire a testa alta dalle spirali antifasciste.

Luca Zampini