Non sono sicuramente tra quelli che se la stanno ridendo per il crollo della Giunta comunale di Padova; non mi diverte affatto vedere oggi l’ex sindaco Bitonci sfiduciato, nonostante all’inizio della sua amministrazione sembrasse godere apparentemente di una solida maggioranza di centrodestra.
Questo è un copione che si sta ripetendo all’interno di un centrodestra malato, masochista e suicida. Dopo la roccaforte di Treviso, senza scordare il feudo di Varese, cade sotto i colpi dell’incapacità amministrativa anche la sudatissima Padova. Uno smacco, un fallimento che non si può addossare esclusivamente al Sindaco, ma ad un insieme di elementi sempre più incompatibili tra loro, sebbene accomunati – a questo punto solo sulla carta – dalla stessa generica area di collocazione politica (ma meglio sarebbe dire elettorale).
Esaurite le idee (ci si rivolge alle scopiazzature esterofile), perduta l’anima culturale (appaltata a soggetti di tutt’altra estrazione e percorso), la destra, anche quella considerata la più “radicale”, si sta trasformando in circoli anarcoidi, slegati tra loro, spesso in conflitto. Una confusione ed un disorientamento che mai credevo potesse arrivare a questi livelli.
E mentre si plaude, molto sommariamente, al Trump vincitore, a Marine Le Pen, al futuro austriaco, alla crescita delle destre fuori confine, a casa nostra si consuma l’ennesimo delitto: la perdita, dopo pochi mesi, di una città conquistata un po’ inaspettatamente dopo anni e anni devastanti di amministrazioni a sinistra. Chi ha un minimo di coscienza e responsabilità su quanto accaduto, dovrebbe essere consapevole che a fallire non è stato solamente il Sindaco di Padova, ma una intera area.
A questo vanno aggiunte alcune perplessità di ordine generale; per esempio sui “nuovi” capi “emergenti” del centrodestra le riserve sono molte, soprattutto nel vedere il modo con il quale gestiscono la propria formazione politica: come un giocattolo tutto loro, da condividere con i pochi loro accoliti; chi non si trova in sintonia viene cacciato; incapaci di confrontarsi, incapaci di fare sintesi, incapaci di dialogare…e ovviamente pure di amministrare, ma pronti a salire sul “predellino” (di berlusconiana memoria) e autocandidarsi come “leaders” di un centrodestra frantumanto, per il quale nemmeno un fronte del No al referendum prospetta scenari di coesione a forte tenuta già dal giorno successivo al voto del 4 dicembre.
Un modo pessimo di gestire il proprio, che ovviamente si riflette nel pubblico…e a trarne i vantaggi quindi è sempre lui: il parolaio fiorentino sempre più solo al comando alla luce della scarsa consistenza dei suoi avversari.
A questo punto, a fronte dello stato attuale del centrodestra, mi auguro provocatoriamente che il Partito Democratico, nonostante le lotte intestine che lo attraversano, regga ancora il Governo, indipendentemente dall’esito del Referendum; poiché se andassimo ad elezione oggi, tutto il centrodestra rischierebbe seriamente di sparire dal Parlamento…anche se (perdonate l’ironia) visto il modo di fare opposizione, credo non possa rappresentare un male.
Piero PUSCHIAVO – Presidente Progetto Nazionale