IL CROLLO DELLA REPUBBLICA

Non c’è un solo ministro di questo governo, voluto e rivoluto da Mattarella, che faccia fronte ai suoi doveri senza inventare fesserie. Dalla sanità, all’istruzione, alla difesa e all’ordine pubblico, alla finanza e all’Europa, per citare, ma non solo. Fra gli imprenditori, gli studenti sono state create discriminazioni e diseguaglianze. Solo chi ha soldi galleggia. Lo Stato è stato minato alle fondamenta con la colpevole tolleranza del suo Presidente della Repubblica.
Pretendiamo di eleggere il Capo dello Stato e per soli quattro anni, di porre vincoli certi al potere dei governi di spendere, meglio di sperperare il denaro raccolto dal fisco. Esigiamo che sia chiuso questo stato di emergenza senza emergenza e di rifare i conti di quanto sperperato e dei danni, di riaprire le scuole ai ragazzi e agli insegnanti, di liberare le attività commerciali.
Non c’è un solo ministro di questo governo, voluto dal presidente Sergio Mattarella, che possa vantare i titoli necessari per amministrare il suo dicastero. La Repubblica è sovrana perché è retta da un Ordinamento Giuridico: la legge! E la sovranità “appartiene” al popolo perché non viene trasferita agli eletti, di qualunque grado siano. È questo il significato di “appartiene”. Può sembrare un’affermazione utopica, ma ha un significato ed esprime un sacramento: Nessuno, nemmeno Lei, signor Presidente Sergio Mattarella o il suo predecessore e, tantomeno, il “suo” presidente del Consiglio, che avete prestato giuramento su questa Costituzione, può violare questa sovranità senza sfuggire all’epiteto di Traditore.
Il giuramento rappresenta l’espressione del dovere di fedeltà che incombe in modo particolare su tutti i cittadini ed, in modo particolare, su coloro che svolgono funzioni pubbliche fondamentali (in base all’art. 54 della Costituzione).
Vale per Lei e per quanti, come il suo predecessore, abusatore della Costituzione con il suo secondo mandato.

Umberto Elia Terracini


Umberto Elia Terracini, dirigente – seppur in posizione di “autonomia critica” – del Partito Comunista Italiano
Devo dire di più. L’Assemblea Costituente, presieduta dal senatore Umberto Elia Terracini, volle, a scanso di dubbi, mettere ai voti questa ipotesi e il voto la bocciò; ma, correttamente, Terracini non volle inserire questa negazione nell’articolato della Costituzione antifascista, che contrasta con un duplice mandato di quattordici anni. Dopo tutto, Mussolini governò dal 31 ottobre 1922 al 25 luglio 1943, per un totale di meno di 21 anni e obbediva a un re, che, infatti, poi, lo dimise. Qui, non ci possono essere monarchi e non ne vogliamo! Il sovrano è il popolo e deve avere gli strumenti per dimettere un Presidente che violi o consenta che siano violate le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione e voglio ricordare il testo del 2° comma dell’art. 50 della Costituzione, ora, art. 54:

“Quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino”.

La Repubblica si chiama parlamentare perché la volontà del popolo, sempre sovrano, trova espressione nel Parlamento che scaturisce dal voto popolare.
La durata normale della Legislatura parlamentare è di 5 anni (art. 60 Cost.), a meno che il Presidente della Repubblica, quale soggetto terzo rispetto ai poteri dello Stato, non decida per lo scioglimento anticipato delle Camere (art. 88 Cost.) e indica nuove elezioni. Ciò accade in concreto quando le Camere non riescono ad esprimere una maggioranza in grado di sostenere un Governo. È questo un altro vulnus della presidenza Mattarella. Infatti, il 72% degli italiani vorrebbero nuove elezioni, perché la partecipazione alla vita politica della Nazione non trova più, da tempo, la sua espressione nella composizione di questo Parlamento, il cui indirizzo politico non la soddisfa, soprattutto, per quanto riguarda l’attività legislativa del Governo. Questa si decide, nella migliore delle ipotesi, fra i leader dei partiti al governo, attraverso mercanteggiamenti. Diciamo, quindi, che la relazione con i risultati delle elezioni politiche non può essere meramente aritmetica, come è avvenuto per i governi Conte e che la sola determinazione di continuare a governare giustifica l’assieme (difficile chiamarlo coalizione). Peggio di così!
È evidente che, il conferimento dell’incarico di formazione del nuovo governo da parte del Capo dello Stato, unico decisore e la nomina, ove sia data a una figura in grado di ottenere la fiducia attraverso una qualunque combinazione di partiti, sorretta soltanto da una relazione aritmetica, costituisce un’alterazione del procedimento di formazione dell’esecutivo. La mancanza di dialogo fra l’attuale esecutivo e le minoranze ci conferma che viene svuotato il significato sia costituzionale della pari dignità sia politico di maggioranza e minoranza e viene anche a essere svuotata la prerogativa costituzionale del capo dello Stato di scioglimento delle camere per il caso di impossibilità di formare una maggioranza. Quale sia il risultato pratico della scelta adottata da Mattarella è un governo senza una politica condivisa, praticamente su tutto, ad eccezione di una costante ricavabile dalle sue scelte: la negatività per quanto concerne la sanità, l’economia, la politica estera e per i diritti costituzionali degli italiani.
A proposito della ventilata ricandidatura di Sergio Mattarella (ci siamo già espressi al riguardo), ennesimo presidente della sinistra, la decisione di non sciogliere le Camere ricorrendone le condizioni e, comunque, il permanere di un esecutivo – ripeto – frutto di una combinazione di partiti, sorretta da una relazione soltanto aritmetica, a ridosso della scadenza del mandato presidenziale, scontrerebbe con la volontà dei costituenti di evitare che il Capo dello Stato possa agire per costituire un Parlamento a lui più favorevole. Mi piace questo messaggio: “siamo tutti articolo 88”. Esaminiamo l’articolo.
Articolo 88 Costituzione
Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse.
Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura.

La perdita di rappresentatività della sovranità popolare da parte del Parlamento è stata evidenziata da eventi politici particolarmente significativi e dai risultati delle elezioni amministrative ed europee intervenuti dopo il rinnovo della legislatura. I partiti della maggioranza al governo sono precipitati nei consensi e, questo, ben potrebbe portare allo scioglimento delle Camere. Questo potere spetta al Presidente della Repubblica, è subordinato al parere non vincolante dei presidenti delle Camere e l’atto deve essere controfirmato dal Presidente del Consiglio, affinché non sia interrotto senza motivo il circuito fiduciario tra Parlamento e Governo. Sembrerebbe quest’ultimo un ostacolo insormontabile, ma sovviene l’istituto della “mozione di sfiducia” con il quale viene manifestato il venir meno del rapporto fiduciario con il governo (o con un singolo ministro. È applicabile anche verso l’organo corrispondente dell’ente territoriale). “Il legislatore costituente ha previsto che una delle circostanze che avrebbe dato luogo allo scioglimento anticipato delle Camere sarebbe stata il venire meno di quella che il costituzionalista Costantino Mortati, membro della “Commissione dei 75”, definì “presunzione di concordanza fra corpo elettorale e parlamentare… non assoluta, ma relativa, subordinata cioè alla possibilità di un accertamento in ogni momento della sua reale fondatezza”. Qualora, si realizzi l’impossibilità per le forze politiche di formare una maggioranza in grado di consentirgli di governare seguirebbe la caduta del Governo. La “mozione di sfiducia”, come, per converso, la “questione di fiducia”, indicano il Parlamento come motore per la costituzione e la revoca del rapporto di fiducia (art. 94 Cost.) e questo rende ancora più gravoso il prolungarsi di una Legislatura che non rappresenta più la volontà del popolo sovrano.
Anche per questo, lo Stato è stato minato alle fondamenta con la colpevole tolleranza del suo capo. Sì, del suo Presidente della Repubblica, che è anche presidente del Consiglio Superiore della Magistratura: quello che doveva garantire, con l’azione disciplinare, l’autonomia e l’indipendenza della Magistratura e ha partecipato, invece, all’eversione rossa. Un C.S.M. che così non può funzionare e che non è stato sciolto col decreto presidenziale previsto dalla legge 24 marzo 1958,n.195 sul suo Funzionamento. La Repubblica Italiana si fonda sulla divisione fra i poteri Legislativo, Esecutivo e la funzione giurisdizionale. Questa divisione, oggi, non esiste ed è stata trasformata in un’agenzia di affari, che le cronache mostrano quasi mai leciti, sotto l’egida di un partito con tanti nomi, ma di fatto unico, retto da un comitato di leader, che salgono e scendono a comando, a prescindere dalla volontà degli elettori. Pretendiamo che al Partito Democratico sia applicato l’articolo XII delle Disposizioni transitorie e finali, perché, di fatto, ha costituito un partito unico che dirige ogni potere, come una dittatura in nome e per conto di poteri finanziari stranieri.

Mario Donini