ESITO REFERENDARIO: BREVI CONSIDERAZIONI


La non ammissione di una sconfitta, di fronte ai numeri difficilmente equivocabili, politicamente ci può anche stare, così come ci può stare dialetticamente il rilanciare immediatamente e/o sviare l’attenzione su altre questioni; se poi è la Sinistra a farlo, nulla di più scontato: da quelle parti sono maestri nel rigirare la frittata, qualsiasi frittata.
Se però ci atteniamo agli obbiettivi dichiarati, quelli ante referendum intendiamo – non quelli sottaciuti o quelli ex post – ovvero vittoria del SÌ e raggiungimento del quorum (50% + 1 degli elettori), allora poco ci sarebbe da commentare: SCONFITTA INAPPELLABILE su tutta la linea, e conferma che, se tiene l’asse “Schlein-Landini”, il governo Meloni può contare su una buona assicurazione di continuità, ma…mai dire mai. Gli scricchiolii sia all’interno del Pd (piddini riformisti e Bonaccini in primis) sia nel cosiddetto “campo largo” non hanno tardato a farsi sentire. Adesso hai voglia a dire che «la democrazia è in pericolo» o che l’obbiettivo in realtà era di prendere più voti (ovviamente sommando i SÌ con i NO, voti di centro-sinistra e voti di centro-destra) di quelli che portarono la Meloni al governo!
Lasciamo però agli analisti dei flussi elettorali, agli specialisti in materia il compito di sviscerare il voto referendario. Noi più semplicemente ci poniamo alcune domande.
Non è forse questa l’ennesima conferma che il campo della Sinistra è e resta minoritario in Italia nonostante la debordante e dopata copertura mediatica, propagandistica, del mondo ecclesiastico, del mainstream della cultura e dello spettacolo?
Non è che la gente comune – non i compagni radical-chic delle Ztl – poi tanto stupida non è e manifesta la propria insofferenza rispetto a chi la considera minus habens nel caso non si voglia allineare alle direttive dei detentori del “Giusto” e del “Vero” totali, del “Bene Assoluto”?
Non è che per caso l’uomo della strada (quello che in base a come vota o non vota è un vile, un codardo, un venduto, un acefalo, un servo del padronato, un “fascista”, un mafioso, un nemico dei lavoratori, un ipnotizzato dalla propaganda meloniana, etc.) può anche rifiutare di cadere nella presa per il culo di gente che fa delle leggi e dopo dieci anni (quando è cambiato praticamente il mondo stesso del lavoro, e soprattutto quando non è più al governo) fa un referendum per bocciare quelle stesse leggi?
Non è che ad una parte sempre più consistente di italiani l’immigrazione massiva ed incessante piace sempre di meno, e l’aver subdolamente introdotto il quesito sulla cittadinanza non è piaciuto affatto? Con le implicazioni che essa ha, tra l’altro, proprio sul mondo del lavoro?
Ma rimaniamo proprio su quest’ultimo punto, che a nostro avviso era il più politicamente significante nell’ottica del nostro futuro, come comunità, come popolo, come identità, come possibile soggetto della storia. Qualcuno diceva che «i numeri hanno la testa dura» e a vedere le percentuali di voto sul quesito numero 5 (“Cittadinanza in 5 anni”) pare proprio che ci sia un problema anche nel centro-sinistra rispetto alla prospettiva della cittadinanza facile e ai relativi desiderata dei capi di partito e di sindacato: la petalosa narrazione immigrazionista tutta empatia ed emozionalità mostra crepe sempre più evidenti! E qui altro che scricchiolii…
Questa positiva constatazione non può però esimerci dal fare i conti con una tragica realtà, che ci dice di una Italia che, a fronte di uno ius sanguinis formale, è lo Stato che ha concesso il maggior numero di cittadinanze a livello europeo nell’ultimo decennio.
I tempi esigono una inversione di tendenza repentina rispetto all’apologia immigrazionista sul piano comunicativo e alla colonizzazione dal basso che subiamo da parte di popolazioni straniere sul piano del vissuto quotidiano.