1 MAGGIO: FESTEGGIARE IL PROPRIO FALLIMENTO

Anche quest’anno le immagini delle manifestazioni per il I Maggio (ormai festa del precariato), ci hanno regalato la plastica rappresentazione di sinistre e sindacati perfettamente allineati (con rarissime eccezioni) ai desiderata del mondialismo.

Crescenti battaglioni di (non di rado inconsapevoli) immigrati, arruolati a suon di parole d’ordine tanto roboanti quanto ormai vuotate e destituite di significato.

Concerti con folle arcobaleno, sognanti “rivoluzioni” sulle note dei soliti musici del politicamente corretto.

Disadattati dei centri dissociati a mostrare i “muscoli” della loro complementarietà alla macina massificante che ci sta spianando.

Coloro che credono di rappresentare la soluzione ai problemi, sono invece essi stessi manifestazioni del problema.

Il lavoro manca, dove c’è è sempre più spesso precario, oppure dove c’è e potrebbe essere stabilizzato mancano profili adeguati per soddisfare la richiesta (vedi esempio caso nell’alta padovana, denunciato dal presidente della Confindustria di Cittadella, Luigi Bernardi, dove le aziende non trovano saldatori, fresatori, tornitori, manutentori di carpenteria, presso-piegatori, addetti al controllo numerico…); intanto il sistema scolastico promuove la generazione Erasmus e il mito della start up, l’apologia della flessibilità degli stili di vita, del cittadino del mondo, del consumatore senza frontiere, del nomadismo apolide, dello sradicato gettato inconsapevolmente nel cannibalismo del “libero mercato”, nel tritacarne della illusoria competizione mondializzata.

Festeggiate, festeggiate pure, tristemente patetici, i nuovi conflitti di classe, le guerre tra poveri, sfilando bovinamente, triplice sindacale in testa, e truppe cammellate al seguito, sulle note sinistre della grammatica da Pensiero Unico.