Pur riconoscendo nel referendum un legittimo strumento della diretta partecipazione popolare, ci schieriamo decisamente contro alla partecipazione al voto dell’8 e 9 giugno, a questo appuntamento voluto fortemente solo ed esclusivamente da una sinistra che, al di là delle argomentazioni, tende, come sua consuetudine, a condurre non tanto al confronto sui contenuti, ma allo scontro sul piano meramente ideologico.
Innanzi ad alcuni punti proposti dallo stesso referendum, inerenti la sicurezza sul lavoro, siamo ad evidenziare i provvedimenti volti al miglioramento, già intrapresi dall’attuale governo; nello specifico la forte crescita delle ispezioni (+126%), promosse dal Ministero del Lavoro in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, coadiuvate da una costante e diffusa promozione di attività dedite ad una formazione che permetta di migliorare la capacità di prevenire il rischio, come riscontrato nel recente accordo Stato Regioni, volto ad ottimizzare il D.L. 81/08 in tema di sicurezza sul lavoro.
Ricordiamo inoltre che, quanto ai primi 4 punti, si chiede l’abrogazione del jobs act, e alcune norme approvate tra il 2008 e il 2021 sulla responsabilità solidale delle aziende committenti in caso di infortunio e malattia professionale dei lavoratori in appalto, riforme fortemente voluta dal governo Renzi, già espressione della stessa sinistra e del PD da lui guidato, attualmente fermo su posizioni diametralmente opposte nel segno di ‘poche idee e molto confuse’ supportate dall’attuale conduzione Schlein.
Il fulcro di tutto rimane però ipocritamente l’ultimo punto; ovvero la richiesta sulla cittadinanza per stranieri non appartenenti all’Unione europea. La proposta, nello specifico, mira ad abrogare l’attuale requisito di dieci anni di residenza legale in Italia per ottenere la cittadinanza, riducendolo a cinque.
La legge sulla cittadinanza in Italia funziona già bene così com’è, a dimostrazione di ciò, il nostro Paese, tra i 27 dell’UE, rimane quello che concede il maggior numero di cittadinanza agli stranieri e non ne ravvediamo pertanto la necessità di cambiamenti.
Ci troviamo innanzi al subdolo obiettivo della CGIL, principale promotrice del referendum e reale soggetto finalizzato a lanciare alla leadership della sinistra il proprio leader Landini, mirando a raccogliere nuovi iscritti per il sindacato e nuovi voti per il Partito Democratico. Un Landini che urla istericamente contro i ‘licenziamenti facili’, ma nei fatti, appena giunto ai vertici del sindacato, licenzia il suo portavoce Massimo Gibelli, storico dipendente della CGIL, con la scusa che 55mila euro lordi annui sono troppi ed occorre tagliare le spese, ma poi affida la comunicazione ad una società esterna per 2,7 milioni di euro, non foss’altro che questa società è riconducibile ad un amico di infanzia dello stesso Landini, tale Gianni Prandi, di San Polo d’Enza in provincia di Reggio Emilia. Senza dimenticare la vicenda del 2021, mentre ITA Airways, la compagnia di bandiera erede di Alitalia, stava lasciando a casa 4000 lavoratori, la stessa, ha siglato un accordo con una società appena nata per 4,6 milioni di euro, la TIE (True Italian Experience) che avrebbe dovuto fornire clienti ad ITA, senza poi riuscirci, tanto che il contratto fu poi sospeso.
Sapete di chi era questa società? Di Prandi, l’amico di infanzia di Landini, un personaggio poliedrico, capace di saltare dell’imprenditoria tessile alla consulenza aziendale con una facilità impressionante. Tutto ciò mentre migliaia di lavoratori vengono lasciati a casa.
Vi pare normale che, mentre una organizzazione sindacale sottoscrive degli accordi, chi gli cura la comunicazione firma degli appalti a chiamata diretta con la stessa società con cui gli accordi sindacali vengono sanciti?
A rimetterci sono sempre i contribuenti ed i lavoratori che vedono tagli salariali ed occupazionali a solo vantaggio dei ‘comunisti col rolex’.
Manuel Negri, responsabile linea politica, Progetto Nazionale