L’ITALIA: AL BANDO L’IGNORANZA (Terza parte)

Pubblichiamo la terza parte del precedente articolo ad opera di Emilio Giuliana di storia documentata. La quarta ed ultima parte sarà pubblicata domenica 3 maggio. Buona Lettura! 

Viceversa, l’incoraggiamento (e forse anche il sostegno) della Germania a portare a termine con successo la guerra etiopica, avrebbe anche convinto Mussolini della possibilità di fare a meno in futuro dei vecchi alleati, responsabili fra l’altro del pericoloso isolamento dell’Italia, orientandolo a ricercare un’alleanza con la Germania. Inconsapevole del fatto che questo sarebbe avvenuto, in perfetta aderenza con i piani inglesi e, come si vedrà più avanti, con gli stessi programmi americani del New Deal rooseveltiano (tesi a creare il comune, antidemocratico nemico, contro il quale sarebbe stato in qualsiasi momento legittimo condurre una guerra di “liberazione”), Mussolini si lasciava coinvolgere nella guerra di Spagna, spinto dagli stessi motivi, per cui altri l’avrebbero provocata, al fine di evitare l’istaurazione di uno stato marxista nel mediterraneo (cioè il Mare Nostrum, che a Londra chiamavano “British Lake”) e interferenze sulle rotte inglesi che attraversano Gibilterra. L’asse Roma – Berlino trovava dunque buone ragioni per essere costituito…secondo gli auspici britannici (vedi a tal proposito la “storia della seconda guerra mondiale” di Wiston Churchill, a pag. 208).
…..gli USA non stavano fermi guardare. Secondo lo storico ed economista Anthony Sutton, gli Stati Uniti avevano tutto l’interesse a diffondere in Europa e in particolar modo in Italia, il “Corporate Socialism”, sistema tipico della società collettivista, è sinteticamente riassunto nella massima: “Make others work for you” (fa in modo che gli altri lavorino per te), antico adagio di “Confession of a Monopolist”, New York – 1906, elaborato e riproposto da Frederick Howe “Make Human Society work for the few” (obbliga la società umana a lavorare per maggior profitto di pochi). La formula derivata da una “personale” interpretazione degli ideali socialisti rispecchia né più, né meno, il principio ispiratore dei cosiddetti Robber Barons (Carnige, Gould, Vanderbilt, Morgan e Rockefeller) e del banchiere dei banchieri, Rothschild, esprimendo, in forma altrettanto sintetica, il criterio, secondo il quale, negli auspici di costoro, si sarebbe sviluppata la politica economica e sociale dell’avvenire. L’obbiettivo teneva conto di dover assecondare le rivendicazioni nazionalistiche, nei limiti ovviamente della ragion politica angloamericana, (il banchiere Thomas Lamont, per conto di Morgan, avrebbe per questo “prestato” a Mussolini, nel 1926, 100 milioni di dollari). Ciò significa che l’idea mussoliniana dello Stato Corporativo avrebbe ottenuto approvazione (analoga a quella riservata all’Unione Sovietica o alla Spagna di Franco) qualora non si fosse posta in contrasto con gli obiettivi dei Monopolists e non urtasse gli interessi delle Potenze soggette al loro controllo. Posta questa condizione, il governo Mussolini sarebbe stato chiamato a superare il cruciale “test” del 1924 (predisposto con diligenza inglese e praticità americana, sotto l’attenta osservazione degli ambasciatori, sir Ronald Graham e mr. Henry Fletcher), per assicurare al Duce il giusto grado di facoltà totalitarie, secondo gli auspici i e i programmi di Londra e di Washington. Il caso “Matteotti” si sarebbe presto confuso tra le nebbie britanniche, quando i dirigenti della Sinclair Oil ritennero opportuno comporre il diverbio con l’inglese APOC (BP), vista la celerità con la quale i canali massonici riuscivano a render noto oltreoceano il contenuto compromettente della borsa del parlamentare socialista, cioè, con ogni probabilità, la prova dei finanziamenti elargiti ai Savoia e al Fascismo da Walter Teagle, Chairman Standard Oil del Rockefeller (e capogruppo della Sinclair), affinché il governo italiano continuasse ad accordare la preferenza al petrolio della compagnia americana, il cui commercio in Italia era allora seriamente insidiato dalla più agevole rapida distribuzione del petrolio iracheno, raffinato dagli inglesi a Trieste. Questo spiegherebbe fra l’altro la sorprendente e frettolosa archiviazione del delitto Matteotti, non certo utile a chiarire le responsabilità di Mussolini, quando si fosse dovuto ammettere che la morte del deputato socialista sarebbe avvenuta a solo tradimento della posizione del Capo del governo e del Fascismo. Nonostante lo scalpore e l’indignazione, allora suscitati, il Caso Matteotti, avrebbe costituito un corposo fascicolo negli archivi dei Servizi Segreti alleati, necessario a produrre al momento opportuno un capo d’imputazione del quale il Duce avrebbe dovuto rispondere. L’assiduo controllo politico esercitato sul Fascismo italiano da inglesi e americani tendeva evidentemente a conservare, sotto l’attenta regia del Royal Institute of International Affairs, la dipendenza dell’Italia dall’impero inglese o, ipotesi comunque sgradita, ma accettabile a Downing street, la neutralità del governo fascista, analoga a quella che la Spagna di Franco avrebbe più tardi garantito. La particolare benevolenza della diplomazia britannica nei confronti di Benito Mussolini si dimostrava subordinata a questa condizione, considerando ammissibili vista la compattezza sociale e politica interna dell’Italia fascista, e concrete iniziative adottate da Mussolini nell’interesse del popolo italiano, qualora non sfuggissero al controllo di Londra. Oggetto della severa critica inglese, sarebbe stata ad esempio la decisione del Duce di rivalutare la moneta italiana e fissare 90 lire il controvalore massimo del cambio della sterlina, non prevedendo le negative conseguenze, derivanti dal fatto che la moneta britannica era allora (1926) agganciata al Gold Exchange Standard e dunque al complicato sistema che comprometteva la convertibilità della lira con le altre valute. La manovra, (nota come “Quota 90”), volta comunque a sviluppare una maggiore autonomia economica dell’Italia, anticipando la futura politica autarchica mussoliniana, prevedeva la riduzione dei salari e dell’importazioni, conseguenza pesantemente avvertita in Italia, dopo la crisi del 1929 e negli anni successivi. Nello stesso cruciale e sofferto periodo, la politica estera europea, costantemente protesa a conciliare il diritto di autodeterminazione dei popoli con il mantenimento della pace e l’auspicata ripresa economica, trovava seri motivi di allarme e apprensione, osservando le vicende della Germania e il frenetico flusso di capitali esteri che transitava attraverso la Reichbank fin dal 1919, quando il popolo tedesco fu costretto ad accettare le catastrofiche conseguenze della sconfitta.