LA BATTAGLIA DI MILANO

Sono poche settimane ma sembra un secolo, le sirene squarciano il silenzio, sono vicine, lontane, ti avvolgono già bardato nelle tue protezioni sempre più opprimenti. I pazienti arrivano a ondate, come nelle retrovie di una guerra di posizione, ma il fronte è ovunque, valuti, decidi curi e passi oltre. Mi sovvengono analogie dei tempi passati, la Grande Guerra, le truppe che partono cantando, le dame imbellettate che lanciano baci. Al fronte si muore ma a Parigi si canta, si balla e si brinda al fantaccino che marcisce nella trincea. Milano non si ferma che diamine, possiamo noi rinunciare all’aperitivo sui navigli, alla movida? No, Milano è da mangiare, da bere, da godere, chi dice il contrario è un nemico. La sirena urla, i bicchieri si uniscono tintinnando in una danza macabra. A Parigi si balla, i fantasmi di Cèline, Drieu La Rochelle, Maurras aleggiano sulle macerie d’Europa…come allora. Morte a Credito, Viaggio Al Termine della Notte, La Battaglia di Charleroi. A Milano si balla, i fantaccini al fronte combattono perché il senso del dovere è forte, chi mai può indietreggiare, nel caotico divenire nascono altri valori, altre gerarchie. Ci sono solo uomini o donne, coraggiosi o vili, chi è al fronte guarda all’Ardito che ha l’ottanta per cento di probabilità di morire non al funzionario o al direttore di qualche parassitario ufficio statale. I Generali non contano più nulla, i lavori del vacuo esistere, i venditori di fumo, di fuoco fatuo non contano niente. Qui contano i soldati, tutti uguali, con il nome scritto sul petto con il pennarello per riconoscersi dietro le maschere, ma dietro quelle maschere non ci sono i falsi volti della metafora pirandelliana, ci sono occhi che parlano, palpebre che ammiccano, lagrime che scendono. Molti applaudono dalla finestra, ma al soldato non ne frega nulla, anela a tornare a casa per respirare senza maschera, quegli applausi non lo riguardano è avvolto in altri pensieri che sanno di morte. I frigoriferi sono vuoti, si mangia quel che c’è, finalmente le dispense si assottigliano, che bello un piatto di pasta e un bicchiere di vino…come dalla giberna del fantaccino, tutto è buono, tutto va bene. Ma quale alta cucina, va bene tutto, un po’ di riposo e poi si ritorna. Tutto finirà, un giorno, non sappiamo quando. Ma nulla sarà più come prima. Ho visto i combattenti, ho visto quelli in fuga, tutti i valori sono mutati anche se il mondo andrà avanti. Ma come nelle guerre noi saremo reduci con le ferite nel cuore e la potente consapevolezza di aver fatto il nostro dovere. La Milano da bere la lasciamo ai vili, agli opportunisti dell’ultima ora, il loro mondo non ci appartiene.

Lettera pubblicata anche sul settimanale L’informatore Vigevanese

Luciano Elvio Ferraris – anestesista rianimatore presso ICSS Milano

Progetto Nazionale
Circolo di Pavia “Cesare Forni”