DA TORINO ALLA GOGNA COLLETTIVA IN ATTO: UNA RIFLESSIONE FUORI DAL CORO, PERCHÉ NON SI PERDA IL CORAGGIO…(di Marco Scatarzi)

Poco più di un anno fa, esattamente nel decimo anniversario del sacrificio di Dominique Venner, sono stato ospite dell’Asso di Bastoni – Torino per una conferenza sullo stato della cultura italiana in concomitanza con il “Salone del libro”. Fu una bellissima serata, animata e partecipatissima, nella quale ho avuto il piacere di conoscere tantissime persone attente e preparate, in un clima comunitario e gioviale. Alcune di loro, con le quali mi sono soffermato a chiacchierare, avevano in tasca il tesserino di giornalista. Altre ancora, giunte per ascoltare il dibattito, non appartenevano all’area politica della “destra radicale”. Perché lo sottolineo? Perché è evidente che si tratti di uno spazio aperto, nel quale ci si è sempre confrontati alla luce del sole. Questa, almeno, è l’impressione che ho maturato in quel contesto.

Da giorni – in seguito ad un fatto che emergerà nella sua reale consistenza – è in atto un attacco trasversale alla Comunità che presidia quello spazio da 16 anni, producendo musica, cultura e socialità in modo autentico e disinteressato. L’obiettivo è chiaro: creare il mostro, agitando lo spettro della violenza. È un’operazione che ho visto da vicino: lo scorso anno – per una mezza rissa tra minorenni davanti ad un Liceo fiorentino – si è gridato alla terza guerra mondiale, scomodando il Presidente della Repubblica, mobilitando la piazza e alimentando una tensione inutile e dannosa, che qualcuno ha pagato nei mesi successivi, nel totale silenzio degli stessi media che avevano precedentemente gridato allo scandalo.

Che certa sinistra sia maestra nel condurre il dibattito pubblico, del resto, è cosa nota: Ilaria Salis – che in Ungheria era accusata di aver partecipato alle aggressioni terroristiche della Hammer Band, un gruppo di criminali internazionali che girano l’Europa per uccidere a martellate chi non la pensa come loro – siede oggi al Parlamento Europeo. Chi l’ha candidata, senza vergogna, condanna la “violenza” altrui, anche quando non è assolutamente paragonabile a quella della maestrina di Monza, che nel frattempo è stata declassata a banale occupante di case popolari. Un’operazione da manuale, geniale e inquietante al tempo stesso. Il medesimo meccanismo è riscontrabile, in questi giorni, nella cronaca torinese: in una città nella quale pullulano “centri sociali” popolati da personaggi che hanno implicazioni legali pesantissime, con accuse che vanno dal terrorismo allo spaccio di droga, il pericolo pubblico sarebbe rappresentato da un locale che svolge la propria attività legalmente, da molti anni, senza aver mai procurato problemi di “ordine pubblico” a chicchessia.

Tutto questo, bisogna dirlo fuori dai denti e una volta per tutte, non sarebbe possibile senza la remissività congenita di chi non sembra avere la volontà di passare dal “governo” al “potere”, facendosi sistematicamente mettere all’angolo ed arretrando ogni giorno di un passo. Non parlo, nello specifico, di questo singolo episodio: è un leitmotiv costante, che spingerà un intero mondo politico – sia esso istituzionale, metapolitico o extraparlamentare – nel vulnus della marginalità e della repressione. Perché la paranoia tipica di un certo mondo woke – con le sue scomuniche, i suoi cordoni sanitari, le sue “inchieste” a senso unico e i suoi anatemi “politicamente corretti” – non fa differenze ed è già egemone: il risultato tangibile è la totale assenza di confronto, la continua restrizione delle libertà di espressione, la pericolosa promiscuità tra ideologia e magistratura, il rinnovato e stupido manicheismo col quale si giudica ogni cosa. Ciò, senza dubbio, merita una profonda e attenta riflessione.

Per quello che vale, davanti al silenzio e all’imbarazzo di tanti, rivendico con orgoglio di aver parlato in quello spazio. Lì, come in tanti altri luoghi, ho trovato coscienza critica, sano confronto e liberi pensieri. Qualcuno sta costruendo una gogna collettiva in servizio permanente: ci volete finire dentro con compiacente fatalismo, oppure tornate padroni del vostro destino? Di mezzo, cari amici, c’è “solo” il coraggio. E questo, si sa, non è mai per procura.
Marco Scatarzi