L’ITALIA: AL BANDO L’IGNORANZA (Seconda parte)

Pubblichiamo la seconda parte del precedente articolo ad opera di Emilio Giuliana di storia documentata. La terza parte sarà pubblicata giovedì 30 aprile.
Buona Lettura!

Numerosi documenti riservati, riguardanti la II°guerra mondiale, ma anche il periodo che la precede, sarebbero da qualche tempo consultabili presso l’Archivio dello Stato Department americano e quello inglese di Kew Gardens, grazie alla concorde decisione del presidente Bill Clinton e del premier inglese Tony Blair di abolire il Segreto di Stato che li avrebbe coperti per oltre settantacinque anni. O, più precisamente, perché al Council on Foregin Relations (CFR) della Rayburn House Building – (Washington – D.C.), e al Royal Istitute of International Affairs, ospitato nella Chatham House londinese, si era ritenuto che i tempi (anno 2000) fossero maturi per renderli pubblici. E forse perché insostenibili erano diventate le inosservanze del “Freedom of Information ACT” (FOIA), legge che dal 1966 garantisce la “libertà”, d’informazione, estesa anche a far luce sui segreti al passato politico americano e inglese, forse trascurati dalla storiografia ufficiale. Questa “declassificazione” avrebbe fra l’altro permesso di raccogliere prove e avere indicazioni utili a conoscere quanto sarebbe avvenuto dietro le quinte nel corso delle relazioni internazionali, prima dell’avvento del fascismo e ad illuminare gli angoli oscuri della storia d’Italia del primo dopoguerra.
I documenti, non più segreti, conservati negli archivi inglesi, attestano che nel 1914, Benito Mussolini beneficiò di un finanziamento di 500.000 lire (una lira di allora corrispondeva, secondo calcoli attendibili, a circa 3,00 €uro odierni) per fondare “Il Popolo d’Italia”. Intermediario della gentile elargizione sarebbe stato l’allora direttore de “Il Resto del Carlino”, Filippo Naldi, promotore della campagna interventista, in stretto rapporto con il Foreign Office londinese, deciso allora a convincere l’opinione pubblica italiana sull’opportunità dell’ingresso in guerra dell’Italia a fianco delle Potenze dell’Intesa. A tal fine il governo britannico avrebbe versato soldi a profusione nelle casse di molti giornali italiani, attraverso canali bancari inglesi, francesi e italiani con l’autorevole mediazione del Ministro degli Esteri, Marchese di San Giuliano. Più tardi, nel 1917, la pista britannica dei fonti “neri” messi a disposizione di Mussolini sarebbe chiaramente emersa per ammissione di chi ebbe l’incarico dal governo inglese (precisamente l’Agenzia dei Servizi di Informazione Mi5) di far pervenire con continuità (e frequenza talvolta settimanale) le cospicue somme di denaro al futuro capo del fascismo, per un periodo che quasi sicuramente si estende dal 1914 fino al 1925. Costui si chiamava sir Samuel Hoare, Segretario di Stato agli Affari Esteri nel 1935 e personaggio di notevole influenza nell’ambiente dei conservatori inglesi. Già Capo dell’intelligence d’oltre manica, avrebbe assunto dal1941 al 1944, la carica di ambasciatore di Sua Maestà britannica in Spagna, contribuendo direttamente, in piena guerra mondiale, a convincere il Generalissimo Franco sull’opportunità di mantenere lo stato di non belligeranza. Sir Hoare avrebbe anche ideato e costituito nella “neutrale” penisola iberica un sicuro punto di riferimento dell’efficiente rete d’intelligence alleata, al fine di coordinare la lotta antifascista, avvalendosi del sostegno, logistico e strategico, di due regimi, la Spagna appunto e il Portogallo di Salazar, filo-fascisti, ma tollerati perché politicamente controllati dalla Gran Bretagna. Il rapporto di amicizia fra Mussolini e Hoare sarebbe stato fra l’altro alla base dell’iniziativa anglo – francese promossa nel 1935 allo scopo di trovare un comodato per evitare la guerra d’Etiopia. La caparbietà del Duce nel condurre e portare a termine l’impresa etiopica avrebbe anche offerto a Hoare l’occasione di guadagnare in patria la popolarità necessaria alla sua elezione alla Camera dei Comuni e a ricoprire la carica di Segretario agli Esteri. Proclamandosi promotore delle sanzioni contro l’Italia, Hoare avrebbe infatti ottenuto i voti sufficienti a essere eletto, grazie al consenso dell’opinione pubblica inglese, pronunciatasi per una severa condanna dell’intervento italiano in Etiopia. Il governo del Premier conservatore Stanley Baldwin prometteva per altro, nelle aspettative di Mussolini, maggiore elasticità nel giudicare l’impresa italiana, soprattutto quando del governo britannico fosse entrato a far parte, in qualità di responsabile delle relazioni estere, il vecchio “benefattore” del Duce, cioè lo stesso Samuel Hoare, quel distinto inglese, dimostratosi capace di trasformare, nell’interesse supremo della Gran Bretagna, un buon giornalista in un dittatore. Il disorientamento di Mussolini, derivante dal pur prevedibile atteggiamento di Hoare, conforme alla linea sanzionatoria del Ministro pe la Società delle Nazioni, Anthony Eden, avrebbe indotto il Duce a cercare, per quanto non gradita, la solidarietà della Germania. Vista anche l’esitazione della Francia a comporre, su binari più favorevoli all’Italia, il caso Etiopia, Mussolini avrebbe condotto a termine la sua impresa, con l’inespresso plauso degli anglo-francesi, i quali prevedevano che l’impegno italiano nella costosa campagna etiopica avrebbe costretto l’Italia ad abbandonare per sempre i propri interessi sul petrolio iracheno di Mosul e Quayara.